I rituali di fine autunno in Sardegna: la notte delle zucche di Sant’Andria
Fra i rituali di fine autunno in Sardegna, la notte delle zucche (e del vino) di Sant’Andria -per come vogliamo chiamarla in questa sede-, merita sicuramente attenzione.
Innanzitutto perché in questa notte che somiglierebbe (ma non è!) alla festa di Ognissanti (la modernissima Halloween) per alcuni aspetti, vengono in rilievo la zucca con tutte le sue simbologie (quella che preferiamo è legata alla rinascita), il vino, con altrettanti e importanti significati e, ultimo ma non meno importante Sant’Andrea, il santo del vino e tradizionalmente anche il santo di novembre, mese dedicato nell’antichità a Dioniso.
Rituali di fine autunno in Sardegna: la notte del 30 novembre e di Sant’Andria
Chi l’ha detto che le zucche intagliate a mò di mostri spettrali si tirano fuori solo ad Halloween?
In Sardegna la notte del 30 novembre si svuotano e intagliano zucche di forma allungata, si scava la resistente buccia per ricavarne occhi, naso e bocche “da far paura” e vi si inserisce una candela all’interno, per completare l’effetto “fantasma”.
Sembrerebbe Halloween ma Halloween non è, dato che la festa di origini celtiche si festeggia la notte del 31 ottobre mentre Sant’Andria si festeggia il 30 novembre per quanto ne sappiamo a Bono, Martis, Ozieri e Paulilatino.
Eppure le due feste hanno qualcosa in comune: la zucca innanzitutto, protagonista di entrambi i rituali di fine autunno.
A Bono e Martis, in provincia di Sassari, i ragazzi si muniscono di belle zucche e le intagliano fino a farle assomigliare a volti umani. Una candela all’interno e il gioco è fatto, sono pronte per la processione che prenderà vita di lì a breve.
Dopo il tramonto i bambini, con la zucca appesa al collo, camminano per le vie del paese e al grido di «A Sant’Andria! A Sant’Andria!» bussano di porta in porta ricevendo dolci tipici e frutta secca, proprio come ad Halloween.
Ai più grandi però viene offerto un bicchiere di vino, altro grande protagonista della festa.
La zucca: simbolo di rinascita e “follia”
La zucca vanta molteplici di significati e non tutti positivi, nella cultura occidentale.
All’ortaggio in tempi remoti non si attribuivano virtù nutritive né simbologie rilevanti contrariamente al melograno ad esempio, alla mela e alla pera che appaiono in opere pittoriche fin dal Medioevo.
Per i Romani era simbolo di stupidità e follia, forse perché vedevano crescere le zucche in territori che avevano colonizzato (fonte, Psicologia-Utile.it).
«Sei una zucca vuota!», «Guarda che zuccone!» e «Non hai sale in zucca» sono espressioni dispregiative che derivano dall’analogia con la zucca, reputata grande ma poco nutriente e abbastanza insipida. Fa eccezione il riferimento al “sale in zucca”, espressione nata sempre in tempi antichi, quando le zucche si usavano come contenitori per il sale.
Una delle simbologie più forti (e positive) attribuitele riguarda la resurrezione dei morti, la rinascita delle anime e di qui, probabilmente, il suo legame con la vigilia della festa di Ognissanti e con i rituali di fine autunno, in Sardegna come altrove.
I semi delle zucche, ancora oggi comunemente conosciuti come “anime”, rappresenterebbero gli spiriti dei defunti e più in generale il rapporto con l’aldilà, la vita e la morte e anche la fertilità (o fecondità).
Materia prima usata per realizzare ogni tipo di utensile, soprattutto borracce, si è dimostrata essere in realtà un ortaggio utile e anche nutriente. Oggi sappiamo che è ricca caroteni e proteine, che vanta proprietà diuretiche, calmanti, antiossidanti e antinfiammatorie.
La ritroviamo anche nella festa di Sant’Andria, che pare abbia origini contadine. Nel Blog di Claudia Zedda si legge:
Chi lavorava la terra selezionando e offrendo alla divinità prima e a Sant’Andria poi la zucca più grande, cercava di garantirsi un’alleanza preziosa. Ma la cosa non si concludeva qui: svuotando la zucca, incidendola in maschere spaventose, accendendola con lumi e portandola in giro per i campi e per il paese assolveva all’antico intento di spaventare gli spiriti maligni. Spaventati si sarebbero allontanati promettendo un anno di buoni raccolti, ricco e abbondante.
Il Vino: San’Andria e il culto di bacco
Di antica tradizione pagana, la festa di Sant’Andria è indissolubilmente legata al vino e al culto di bacco.
Non tutti sanno che in Sardegna, Sant’Andrea è il santo del vino per eccellenza. A ricordarcelo è Dolores Turchi, la quale riporta che una volta, il mese di novembre o di Ognissanti era dedicato a Dioniso. Non a caso a Galtellì (NU) Sant’Andria è chiamato su santu e su vinu, perché a novembre si sturano le botti.
I motivi della scelta di Andrea quale santo del vino sono tuttora sconosciuti. Lo studioso Salvatore Dedola ritiene Sant’Andrìa una paronomasia, creata dai preti bizantini per soppiantare le divinità pagane.
In effetti nella religione cristiana, Sant’Andrea è il santo dei pescatori. Cosa c’entra allora il vino? L’unico riferimento a Dioniso e alla bevanda degli dei, l’abbiamo rinvenuto in una donna: Santa Dionisia martire. Dionisia, cioè consacrata a Dionisio, festeggia l’onomastico con Sant’Andrea. L’onomastico però ricade il 15 maggio e non il 30 novembre.
Fatto sta che a Bono come in altri paesi, dopo la processione delle zucche, Sant’Andrea si festeggia a suon di calici di buon vino, carne arrosto e castagne.
A Ozieri, nella Sardegna del Logudoro, i rituali di fine autunno per Su Trinta’e Sant’Andria sono notoriamente ispirati alla tradizione della prima spillatura del vino. Ai festeggiamenti partecipano ben 26 cantine, si allestiscono stand di prodotti gastronomici e la festa è accompagnata da canti e musica.
Ozieri interessa anche in relazione ad un santo diverso, Sant’Antioco. Ne abbiamo parlato nell’articolo Sant’Antioco a Ozieri: la chiesa e i suoi simboli misteriosi.
Non solo nei paesi sardi sopracitati si festeggia Sant’Andrea ma allo stesso modo anche a Nulvi