4 Racconti brevi da leggere davanti al camino
L’autunno con l’inverno alle porte è fatto di pomeriggi brevi in cui l’oscurità scende sui paesaggi e fa spazio a temperature rigide, che invogliano a scaldarsi davanti al fuoco d’un camino.
Possono farci compagnia una tazza di té, un bicchiere di vino (che ne dite del Vin brulé?) un buon libro o 4 racconti brevi e suggestivi.
I seguenti appartengono alla raccolta di Gino Bottiglioni “Leggende e Tradizioni di Sardegna”, risalente al primo Novecento.
Possono annoverarsi fra i contus de foghile (racconti davanti al camino) sardi o contus de foredda, narrati attorno al focolare e giunti a noi grazie alla tradizione orale.
Racconti davanti al camino: i contus de foghile sardi
«In autunno cadono le foglie».
Non è una banalità, ma l’immagine di una natura quieta che in autunno ama nascondersi sotto la brina del mattino, che rinfresca l’aria (e non poco) alla sera, che anticipa un inverno da trascorrere davanti al tepore di un camino.
E vengono alla mente i racconti attorno al focolare, i racconti davanti al camino che in Sardegna prendono il nome di contus de foghile o de foredda: emblemi della tradizione orale ed espressione di storie popolari, leggende, credenze e superstizioni.
In Sardegna esistono racconti e racconti (contus -o contos- de foghile; de jannile (*sulla soglia di casa. N.d.R.); contascias e contados (fiabe semplici e complesse); paristorias (miti e leggende) e sembra che quelli propriamente detti “davanti al camino”si svolgessero così.
I racconti incominciavano dopo il tramonto e dopo una cena frugale.
Ci si sedeva sugli sgabelli di ferula o di sughero attorno al focolare (su foghile fattu de battor predas: il focolare delle antiche “pinnette”, fatto di quattro pietre al centro della stanza), e in tempi più recenti attorno al caminetto (sa ziminera), e qui si incominciava a parlare, ad ascoltare e a fissare i ricordi d’una giornata quasi sempre monotona e faticosa.
I contos de foghile sardi erano momenti di condivisione, umanità e intrattenimento che, al giorno d’oggi, sono stati tristemente sostituiti dalla tv e da Internet.
Agli inizi del Novecento, Gino Bottiglioni fece una raccolta di questi contus e li riportò nel libro “Leggende e Tradizioni di Sardegna”, pubblicato dall’editore Ilisso.
Qui di seguito, 4 racconti brevi tratti dal libro di Bottiglioni.
Sant’Antonio del fuoco (leggenda di Nughédu San Nicolò)
Una volta nel mondo non c’era il fuoco e gli uomini avevano molto freddo. Per questo Sant’Antonio ne ebbe compassione e volle andare all’inferno a prender fuoco.
Prese un bastone di ferula (pianta erbacea perenne a cui si attribuivano un tempo qualità magico-religiose. N.d.R.) e andò alla porta dell’inferno e bussò e disse «Apritemi che ho freddo e mi voglio scaldare».
Allora sono venuti alla porta tanti demoni e siccome hanno riconosciuto il santo, non hanno voluto aprire.
Ma allora inl santo, prega che ti prego, riesce a entrare e si pone accanto al fuoco facendo finta di scaldarsi; ma intanto accosta al fuoco il bastone che, siccome era di ferula, prende fuoco senza che se ne fossero accorti i demoni.
Il santo ha ragionato un po’ con i demoni e poi, dopo che gli è parso, se n’è andato e così ha portato il fuoco agli uomini.
La donna col viso macchiato (Tempio Pausania)
Una mattina, una donna se n’era alzata presto presto per andare all’acqua alla fonte di Pastini.
Era l’una di notte, quando, arrivata vicino a un fiume che vi è accanto alla fontana, sente come il rumore d’una che sia sciacquando. S’accosta al fiume e vede questa giovane sciacquando i pannolini d’un neonato e pronta pronta le dice:
«Vuol dire che l’ora non ha ingannato se non che me (me sola), e non sai che te ne se venuta bella lesta a lavare?!»
E quella senza rispondere; allora si accosta di più e glielo torna a dire. Alla terza volta, quella alza il capo, le scaglia il pannolino in faccia e le dice: « Eh che mi hai fiaccata (interrotta) la penitenza!».
Era l’anima di una giovane morta nel parto e quella donna, dal giorno, ebbe il viso macchiato.
*Racconti sardi simili fanno riferimento all’esistenza di fantasmi delle donne di parto che in Sardegna prendono il nome di panas.
La grotta dei cattivi (Isili)
Una volta vivevano nei boschi del Sarcidano alcuni banditi e lì passavano la loro vita, sempre nascosti agli occhi della giustizia.
Una volta era andato a pascolare a quei monti un gregge destinato a San Sebastiano. I banditi avevano ucciso il pastore e ne avevano rubato il gregge e la notte seguente si erano riuniti nella grotta dei cattivi per mangiare e per bere.
I banditi avevano finito di arrostire quel bestiame santo, quando di sopra della grotta una voce dell’inferno così fa: «Ci calo?». Per tre volte questa voce aveva ripetuto queste parole. finché i banditi stanchi così fanno: «E cala, anche ne scendano tutti i diavoli!».
Allora la volta della grotta ne cade e schiaccia quei banditi; uno solo si fu salvato perché non aveva voluto pigliare parte a quel pranzo.
Il campo maledetto (Quartu Sant’Elena)
Nella campagna che si dice l’Idano e che s’incontra tra Quartu e Quartucciu, in mezzo a un possesso c’è come un passaggio nel quale, quando arano, non vi nasce cereale perché dicono che una volta gente cattiva, incontrando solo alla notte un prete che era buono ed essi gli volevano male, l’avevano ucciso e poi lo avevano legato alla scala del carro e l’avevano portato a tira tira (a strasciconi) in mezzo a questo possesso.
Il prete dai colpi mandava fuori sangue e così dove passava lasciava la traccia, bruciando il cereale che vi era piantato. Per questo dicono che il prete, buono che sia o cattivo, bisogna rispettarlo.
Dio, per far vedere a quella gente cattiva che era buono a castigarli pure nel mondo, nel luogo dove hanno fatto passare a strasciconi il prete non ha fatto crescere più nemmeno un seme di cereale. E così ancora oggigiorno.
FONTI:
I tipi di racconti in Sardegna
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Raccolta di Storie Popolari Sarde
e
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Bellissime storie. Grazie
Grazie mille Valeria:)
Grazie a te Valeria!
“Guerra alle doppie”
Mi ero rifiutata di trasferirmi, di ritornare a casa in Sicilia da cui provenivo. In quel paesino avevo incontrato colui con cui avrei costruito la mia vita futura. Così credevo e così è stato.
La professione di insegnante cominciava a piacermi, gli alunni non erano più quella minaccia che mi erano apparsi quando lottavo con la loro diffidenza verso un’estranea che veniva da lontano e che pareva non comprenderli. A poco a poco superavo la barriera della lingua e per rendermeli complici li sfidavo a comprendere la mia di lingua. Confrontavo il lessico e li divertivo con la mia pronuncia che appariva loro buffa specie quando li invitavo a imitarmi.
Il lavoro sulla lingua continuò quando cominciai a studiare la grammatica del canonico Spanu che aveva codificato le regole della lingua sarda che io utilizzai con lo scopo di fare apprendere più correttamente la lingua italiana che ancora per molti di loro risultava difficile specie in quella scritta.
La guerra alle ‘doppie’ sembrava non avere speranza di vittoria, anche gli alunni più dotati mostravano difficoltà a superare questo inciampo, la pronuncia della lingua sarda marcata sulle consonanti si trasferiva nello scritto e parole scempie si appesantivano raddoppiandosi.
Tutti i tentativi di correggere l’ortografia dei miei allievi sembrava non avere mai successo, non ero in grado di suggerire le giuste esercitazioni, lottavo con un parlato che si impadroniva della lingua scritta lasciandomi eternamente sconfitta.
Quello di cui cominciai ad andare fiera fu il rapporto che riuscii a creare con i miei ragazzi, creai una sorta di doposcuola li invitavo a casa mia per aiutarli a svolgere i compiti, e quando il tempo ce lo consentiva preparavo con loro dolci siciliani per far sviluppare atteggiamenti di affezione che si riverberavano nelle lezioni in classe e potei pretendere una maggiore partecipazione all’attività didattica.
Quella prof siciliana così bizzarra e insolita seppe creare rapporti umani che si manterranno nel tempo tanto da riconoscerli ancora dopo tanti anni, quando quei ragazzini diventeranno uomini e donne.
Non era ancora stato inventato il doposcuola con tutto quello che poi con la riforma fu possibile realizzare di positivo, e così si crearono incomprensioni e ostilità da parte di chi vedeva quelle attività deleterie per una scuola austera.
Col tempo il rinnovamento della scuola rese tutte quelle iniziative estemporanee di una strana prof continentale legittime e così ricerche e attività varie arricchirono la didattica che fece tesoro della creatività dei docenti che misero al centro del loro insegnamento il benessere psicologico dei loro alunni.
Oggi ripenso a quel periodo con tenerezza, giovane e piena di passione imparai ad amare una professione che mi forgiò e fece di me una docente competente nei lunghi anni di carriera che seguirono.