“La Cucina dei Ricordi” – Intervista alla Chef Teresa Galanti

La sua cucina è fatta di vissuto e ricordi. La tradizione funge da pilastro nella preparazione dei suoi piatti, ed è proprio da questa che trae l’eredità di ciò che le è stato tramandato.

Ecco chi è Teresa Galanti e perché – secondo lei – bisognerebbe tornare ad una produzione sarda di tipo artigianale.

Teresa Galanti, giovane e talentuosa chef di 39 anni originaria di Castelsardo, vive e lavora a Cagliari, dove porta avanti una vera e propria “missione” culinaria.

Al centro ci sono le materie prime povere del territorio, la stagionalità e la sperimentazione gastronomica, unite all’impegno per ridurre gli sprechi, salvaguardare l’ambiente e promuovere un consumo responsabile del cibo.

Per Teresa, infatti, il cibo rappresenta espressione, comunicazione, e lo dimostra ogni giorno con il suo lavoro e il suo grande impegno, con un approccio femminile e lo sguardo attento verso il mondo che la circonda.

Conosciamola meglio in questa intervista.

La Sardegna?

È una terra fatta di mani.

Chef Teresa Galanti
Chef Teresa Galanti, Profilo Instagram

Quando nasce la tua passione per la cucina?

Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia dove la qualità delle materie prime era altissima.

La frutta e la verdura provenivano dalle campagne di famiglia, il pesce arrivava direttamente dalle barche dei miei genitori o dai miei zii, che erano pescatori professionisti. Mia nonna poi preparava conserve, dolci tipici, insaccati, pasta fresca, pane.

Era tutto prodotto in casa, anche il vino e l’olio.

Di conseguenza, la passione per la cucina fa parte del mio DNA, è sempre stata latente.
Ho capito che volevo diventare una chef sin dalle prime esperienze lavorative, passavo il mio tempo libero a studiare dai libri di cucina o a sperimentare senza tregua.

Mi sono resa conto che esprimermi e comunicare tramite il cibo mi faceva stare bene, riusciva a placare il mio bisogno continuo di dare sfogo alla creatività.

Quale è stata la tua prima esperienza in qualità di chef?

La prima esperienza come chef è arrivata a vent’anni ed è stata del tutto casuale.
Lavoravo a Porto Cervo presso un famoso locale dell’epoca.

Ero l’aiuto dello chef, il quale, per motivi personali lasciò il lavoro per un tempo indefinito. La situazione andava risolta, quindi armata di coraggio e intraprendenza mi sono proposta al manager per coprire quel ruolo e salvare la situazione.

Visti i risultati favorevoli hanno deciso di lasciare me a capo della cucina con il benestare anche dell’ormai ex chef.

Come definiresti il tuo approccio alla cucina?

Sicuramente è un approccio femminile, con uno sguardo attento verso il mondo che mi circonda: dal
commensale al collega, sino ad arrivare al territorio.

Una cucina che vuole “coccolare” ma anche informare e sensibilizzare su alcuni temi a me cari, ad esempio la salvaguardia dell’ambiente e il consumo responsabile del cibo.

Per questo credo in una cucina circolare, dove si utilizza ogni singola parte della materia prima.

Che legame intercorre fra i piatti tradizionali della tua infanzia e la “missione” culinaria che
ti poni? Possiamo definirla “missione”?

La mia è cucina fatta di vissuto e di ricordi. La tradizione funge da pilastro portante nella realizzazione dei miei piatti.

Nel mio piccolo cerco di portare avanti gli insegnamenti che ci sono dietro alla tradizione: seguire la stagionalità, utilizzare materie prime povere provenienti dal territorio, limitare gli sprechi. Qualcosa a livello climatico è cambiato anche nella nostra terra, stiamo affrontando una grave siccità.

Noi chef dovremmo essere dei vettori d’informazione.

Ho radicalmente eliminato la carne dalla mia cucina. Oggi dobbiamo pensare alla conseguenza delle nostre azioni e dei nostri consumi. Se si può parlare di “missione” probabilmente è questa: informare e sensibilizzare su temi importanti per il nostro presente e per il futuro, passando attraverso la cucina.

In cucina per informare sui temi del presente e del futuro

in cucina con la chef Teresa Galanti
Chef Teresa Galanti, Profilo Instagram

Raccontami tre piatti tradizionali della tua infanzia che riproponi oggi nel tuo menù ideale

  • 1939
    (Raviolone Gallurese, umami di pomodoro e essenza di foglie di fico).

1939 (è l’anno di nascita di mia nonna).

Mia nonna preparava spesso i ravioli dolci, tipici dell’ Anglona e della Gallura. Sfoglia rigorosamente di semola, ricotta, zucchero e limone. Li condiva poi con un sugo leggero di pomodoro.

Ho giocato con il ricordo di questi sapori cercando di rafforzare l’intensità degli stessi tramite alcune tecniche contemporanee. Ho voluto dare un’ulteriore nota olfattiva e palatare utilizzando delle foglie di fico. Il loro profumo mi riporta alle giornate passate in campagna con mia nonna.

  • Rommasí
    (Il vino e la pesca).

Coulis di pesche, cannonau, crema al rosmarino, frolla. L’estate quando a tavola sedevo a fianco di mio nonno (detto Rommasinu, rosmarino) a fine pasto mi preparava sempre un bicchiere con della pesca tagliata che bagnava con del vino rosso (da lui prodotto).

Era un gesto ricco di amore che ho voluto riproporre sotto forma di dolce. Cucino le pesche nel cannonau, dalle quali poi realizzo una coulis, una crema pasticcera al sentore di rosmarino, accompagnando il tutto da una frolla croccante.

  • Mirinzà

(Melanzana alla brace, polvere di aglio selvatico, prezzemolo, peperoncino e ricotta mustia).

Nella mia zona la melanzana è così amata che le hanno dedicato addirittura una canzone. La radice del piatto rimane la stessa della melanzana alla Sassarese.

Come base abbiamo una melanzana alla brace privata dalla sua buccia, una polvere di aglio selvatico (apparedda),
emulsione al prezzemolo e peperoncino, un olio di bucce di melanzana bbq.

Termino il tutto con una mousse morbida di ricotta mustia e un velo realizzato dalla essiccazione della purea di melanzane bruciate.

Un piatto, un ricordo.

la chef Teresa Galanti
Chef Teresa Galanti, Profilo Instagram

A quale piatto/pietanza della tua infanzia sei più affezionata e perché?
Si lega ad un ricordo in particolare? Magari ad una persona

Ci sono tanti piatti, sicuramente, però, le pabassinas mi legano a un ricordo fortissimo con mia nonna.

Nel periodo delle festività preparavamo sempre questo dolce della tradizione, era un momento bellissimo fatto di racconti e aneddoti da ascoltare. Un modo per passare del tempo insieme. Qualche anno fa, quando è venuta, a mancare ho deciso di omaggiarla con un piatto (uno dei tanti).

ANTONIÉ: Pabassina, gelato all’anice stellato, purea di agrumi, “cappa”.
Antonietta era il nome di mia nonna. La ricetta del biscotto del dolce attinge direttamente dalle sue pabassinas, imparate e tramandate rigorosamente ad occhio.

C’è un ingrediente al quale sei molto affezionata/ che usi con maggior piacere di altri?

Sicuramente tutto quello che appartiene al mondo vegetale.

La nostra cucina regionale tradizionale è ricca di piatti che hanno come protagonista le verdure.

Sebbene possa sembrare limitante, in realtà è molto stimolante per la creatività. Inoltre in questo momento storico è necessario ridurre l’utilizzo di proteine animali. Ma se dovessi scegliere un solo ingrediente ti direi la farina con la quale posso panificare e realizzare la pasta.

Oggi diversi chef propongono piatti della cucina tradizionale sarda, rifacendosi a ricette
originali o rivisitate. Tu, in cosa ti distingui?

La mia è una cucina molto personale. La tradizione dalla quale attingo è quella che ho vissuto e che mi hanno tramandato, di conseguenza credo che questo sia abbastanza distintivo.

Secondo te, oggigiorno, c’è qualcosa che manca nel panorama culinario sardo, affinché la
cucina tradizionale possa essere davvero valorizzata. Se sì, che cosa?

Manca di varietà, anche se abbiamo una cultura gastronomica immensa.

Dobbiamo andare oltre a ciò che il commensale chiede. Dobbiamo andare oltre le mode e tutelare questo patrimonio.

La cucina sarda è molto variegata: ogni sub regione ha i suoi piatti tradizionali, ma la loro
conoscenza da parte del pubblico è minima. La maggior parte delle persone (italiane,
straniere) associa ancora la cucina sarda a 5/6 piatti/pietanze: malloreddus, culurgiones,
pecorino, maialetto, seadas e così via.

Lo reputi giusto oppure finora abbiamo sbagliato
qualcosa? Se la risposta è sì – Come si potrebbe valorizzare meglio la ricchezza – in termini di
varietà- della cucina tradizionale?

Purtroppo questa è la conseguenza di tante cose. La prima in assoluto è che la maggior parte dei ristoratori/Chef che propone questi piatti acquista dalla grande distribuzione horeca prodotti industriali.

Maialetto di provenienza estera, pasta fresca già pronta, seadas surgelate, pesci di allevamento, calamari Patagonici ecc… Come prima cosa bisognerebbe tornare alla produzione artigianale, perché siamo una terra fatta di mani.

È necessario utilizzare prodotti provenienti dal territorio, far sì che la filiera sia il più corta possibile.

Questo farebbe muovere l’economia della Sardegna, di conseguenza ci sarebbe più spazio per la tradizione e più condivisione della nostra cultura.

piatto preparato dalla chef Teresa Galanti
Chef Teresa Galanti, Profilo Instagram

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Con Stefano Fois (Gaijin) e Luna Puz Olivares (pastry chef) stiamo lavorando all’apertura di un nuovo locale qui a Cagliari.

Nei prossimi mesi nascerà “Aurea, osteria contemporanea “. Un format che si baserà su alcune parole chiavi quali: Artigianalità, rispetto delle materie prime, buon cibo e buon bere.

Sarà una cucina che si divide in due anime, quella legata al mare dove utilizzerò solamente pesce del Mar di Sardegna proveniente da una pesca sostenibile. Un tema che ho molto a cuore e la stagionalità del pesce.

L’altra parte sarà dedicata interamente al mondo vegetale in tutte le sue sfaccettature. Sarà una cucina contemporanea che prende spunto dalla tradizione.

Che consiglio daresti, oggi, ad un giovane ragazzo o ragazza che desidera diventare uno/una
chef?

Studiare costantemente, avere un’identità, partire dalle proprie radici, ampliare le conoscenze il più possibile, tanta curiosità e cultura generica.

Consiglierei anche di informarsi sui propri diritti da lavoratore e farli valere, questo aiuterebbe sicuramente a cambiare il sistema della ristorazione dall’interno.

LEGGI ANCHE…

NON PERDERE…