Sa Corbula: storia e significato del cestino sardo
Sa Corbula è più di un semplice cesto. Nel tempo è diventata simbolo dell’artigianato sardo, racconta storie di arti e tradizione tramandate da generazioni.
Con i suoi intrecci eleganti e la cura dei dettagli, in particolare dei decori, sa Corbula incarna l’anima creativa della Sardegna, testimoniando l’identità culturale della regione.
Scopri le curiosità in questo articolo!
Nelle dimore sarde, fino mezzo secolo fa, tutto si lavorava rigorosamente a mano.
L’artigianato rendeva le case così uniche che, ancora oggi, chi ne conserva degli esemplari può vantarsi della ricchezza delle opere, delle decorazioni e dell’immenso lavoro che sta dietro oggetti affascinanti come sa corbula, il celebre cestino sardo.
Storie di donne… e di corbule
Zelanti e precise, le donne sarde erano le artigiane artiste di cesti personalizzati, intrecciati e ricamati con grande amore e cura, personalizzati in mille forme e sfumature.
Fra questi c’era sa corbula (corbe, colvula, crobi) a vantare una tradizione secolare nell’isola. Basta sfogliare vecchie foto di famiglia o frugare negli archivi regionali per fari un’idea di quanto il suo uso fosse radicato.
Gruppi di donne impegnate nell’intreccio che avanzano con fare deciso e la corbula in equilibrio sulla testa. Quanta bellezza edeleganza esprimono quelle immagini in bianco e nero?
Sa Corbula era un ampio cesto privo di manici di forma conica, utilizzato fino alla fine degli anni ’50 nella cultura agro-pastorale. Sono “corbule” sarde anche i piccoli cestini che formano i gioielli, certo, perché è proprio dall’omonimo cesto che ne derivano il nome e la simbologia.
La forma della corbula richiama infatti la fertilità e la prosperità: qualità della donna generatrice di vita. Il cesto rappresenta la funzione femminile di contenere e mantenere la vita, di proteggere e nutrire.
In Sardegna le corbule erano parte irrinunciabile del corredo nuziale perché essenziali nella preparazione dei pani rituali e utilizzate per misurare gli alimenti.
La dote era composta di tre canestri e tre corbule, chiamate dalla più grande alla più piccola: sa crobe manna, sa crobe e sa crobischedda.
Sa Corbula: usi e curiosità
Lavorate sapientemente e arricchite con decori diversi in base alla zona, le corbule si utilizzavano per trasportare il pane e il grano, ma avevano anche una funzione estetica.
Venivano appese al muro a mò di quadrucci o esposte su mensole per arredare e conferire calore all’ambiente domestico (a Sinnai esistevano le “stanze del fieno”, locali interamente arredati di canestri e corbule di diverse dimensioni).
Realizzare una bella corbula era un orgoglio personale. Tuttavia, se l’erba del vicino era più verde le donne non esitavano a rivolgersi ai corbulai, i venditori ambulanti di corbule che trasportavano una vasta gamma di modelli realizzati altrove.
I corbulai poi, non erano i soli uomini ad avere a che fare con i cesti.
Fino ai primi del ‘900 a Cagliari esistevano “is piccioccus de crobi”, ragazzini di strada che per guadagnarsi da vivere trasportavano la spesa da un luogo all’altro, utilizzando le corbule, che all’occorrenza diventavano sedie o giacigli per dormire.
Quanto ai materiali utilizzati per l’intreccio, nella Barbagia di Ollolai prevaleva l’asfodelo, nel Campidano Maggiore e nel Campidano di Cagliari la paglia di grano e il giunco, e nella Romangia la palma nana.
Le strisce di asfodelo, a causa della durezza delle fibre, richiedevano uno sforzo di lavorazione incredibile.
Venivano tagliate nel mese di giugno ed esposte al sole davanti casa per l’essiccazione, dopodiché si passava alla scelta delle tonalità da inserire in base al motivo della decorazione.
Le decorazioni della corbula
La corbula in asfodelo o giunco si sviluppava per cerchi concentrici a spirale secondo il metodo “a crescita continua”.
Il sostegno era rappresentato dalla spirale rigida e le donne utilizzavano acqua e strumenti perforanti (anche ossa di pollame appuntite) per
fermare di volta in volta i punti e riempire il cesto, ancorando il giro successivo al precedente.
Esistono grandi differenze fra le corbule di Ollolai e quelle dell’Oristanese.
Nelle prime le decorazioni sono minimali, nelle seconde addirittura venivano inseriti dischi di stoffa broccata per coprire l’occhiello della spirale, e i decori spaziavano dai motivi geometrici a forme stilizzate di animali e piante.
È incredibile pensare che modelli delle stesse dimensioni e forme delle corbule erano presenti anche in epoche molto antiche.
Una delle testimonianze viene da Villasor, dove è stato ritrovato un bronzetto nuragico (conservato nel Museo Archeologico di Cagliari)
raffigurante una donna che trasporta un cesto con cordone a spirale.
Altri bronzetti riproducono cesti con decorazioni a cordoni concentrici sovrapposti, che simulano la tessitura del giunco e dell’asfodelo: gli stessi materiali utilizzati fino al secolo scorso.
Le corbule attualmente in vendita si sono arricchite di decori anche non tradizionali, ma con l’avvento del turismo di massa la loro fattura (tranne alcune eccezioni) non è più artigianale, ma dozzinale e abbastanza grossolana.
Per acquistare pezzi unici bisogna rivolgersi alle artiste/i che ancora intrecciano a mano, mentre per ammirare, basta recarsi nel Museo dell’intreccio a Castelsardo, che raccoglie splendide corbule, canestri, crivelli e setacci sardi e provenienti dall’intera area del Mediterraneo.
Fonte: LaDonnaSarda
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